VIAREGGIO (ma non ero li per il carnevale)

E’ una splendida giornata primaverile quella che accoglie Eleonora e me, nella Versilia, il 25 aprile.
Come? La gara è il 27?
Lo so, lo so; ma permettetemi, amiche ed amici, questa piccola introduzione.
Sin da quando mi sono iscritto al Brevetto dell’Appennino ho preso di mira la gran fondo Il diavolo in Versilia proprio perché volevo passare questo fine settimana con la mia signora.
Così, complice la Festa della Liberazione posta il venerdì, ne abbiamo approfittato per un classico fine settimana lungo.
Mi piace, sapete, poter condividere con Eleonora queste esperienze; senza stressarla, ovviamente, ma con il giusto coinvolgimento e credo che in questo caso l’esperienza possa dirsi positiva.
Peccato che altri compagni di squadra non riescano a fare altrettanto (tiratina d’orecchi!).
Torno alla cronaca.
Venerdì e sabato sono due giornate di sole pieno e questo mi fa sperare che i meteorologi che avevano dato tempo brutto si siano sbagliati anche per domenica.
Purtroppo no, anzi. La pioggia prevista in tarda mattinata si manifesta prima ancora del via. Questo non spegne la voglia dei 2300 iscritti ( beh, si, qualcuno meno alla partenza ci sarà stato) di presentarsi alle griglie di partenza speranzosi di cimentarsi su questo percorso che, scoprirò pedalandolo, è alquanto impegnativo.
Un Arlecchino di diverse centinaia di metri si mette in moto alle 9.45 sulle note di una famosa canzone degli U2: Where the streets have no name.


“Eh si, egregio signor Paul Hewson in arte Bono Vox, i nomi delle strade non li conosco nemmeno io, ma quelli delle salite che dovrò affrontare me li sono ben stampati nella mente.”
E si va!
La prima salita, che porta a Pedona Colli, si presenta dopo una dozzina di chilometri e diverse cadute che già seminano dubbi su come affrontare la gara. L’approccio è diverso dal solito perché questa strada, mica tanto bella per la verità, la dovrò percorrere in discesa successivamente per cui cerco di memorizzarne i punti critici. Dove posso cerco, come mio solito, di guardare il paesaggio circostante ma il mare raramente è visibile tra le nuvole basse.
Un po’ pian un po’ adasi, come si dice a Milano, la prima salita termina ma con questo clima mi sembra che la vera selezione si faccia in discesa. L’affronto con la dovuta cautela e, come con la salita precedente, cercando di tenerla impressa nella mente perché sarà la salita numero 7.
Anche la discesa vuole il suo sacrificio umano e così supero altri colleghi, ancora sdraiati o appoggiati al guard-rail con smorfie che rendono i loro volti degni della tradizione carnevalesca. Solo in questa occasione, e quando la pendenza è un po’ più dolce, ho modo di vedere il panorama che mi presenta il lago di Massaciuccoli e tutta la zona paludosa circostante; per gli amanti della natura rendo noto che qui è presente una importante oasi faunistica curata dalla L.I.P.U..
L’immagine non dura molto ma almeno, anche stavolta, posso dire di aver visto un paesaggio nuovo.
Arriva anche Piantoneto, seconda salita di giornata, e poi la picchiata, con il contachilometri che mi indica che si viaggia fra i 45 e i 47 chilometri orari, verso Lucca. Non è che arriviamo alla città, però la sfioriamo.
“Sei matto, Stefano? Cosa hai deciso di fare?”
In effetti non so bene cosa fare. La tentazione di lasciar perdere e gareggiare sul percorso corto è forte ma… Ve lo svelo più avanti.
Ora il tracciato per farci lasciare il territorio di Lucca ci obbliga ad un su e giù di tutto rispetto imponendoci le salite di Via Piana, Piccolo Mortirolo e Le Gavine, in rapida successione.
Prima di proseguire, però, vorrei porre la vostra attenzione sul percorso di questa gara: si è sviluppato su un tracciato di 133 chilometri con 9 salite con chilometraggi che andavano dai 2,8 di Piantoneto ai 7 di Pedona versante di Bargecchia (il ritorno per essere più chiaro) e pendenze massime che in quasi tutte raggiungevano la doppia cifra; a mio parere un tracciato che potrebbe mettere in difficoltà anche i professionisti.
Spero che anche i meno avvezzi al ciclismo abbiano una piccola idea della difficoltà affrontata.
Torniamo in corsa.
Su tutte e tre queste salite mi gestisco veramente bene, in alcuni casi ho difficoltà ad alzarmi di sella a causa dello slittamento della ruota posteriore, ma frequenza cardiaca e andatura si sono messe d’accordo e procedo con molto meno affanno di quanto avrei pensato.
Passata la salita delle Gavine si ritorna sulla provinciale che da Lucca porta a Camaiore e sebbene la strada tenda a salire lievemente penso che prima della sesta salita, La Mea/Pitoro, sia il caso di mangiare qualcosina. L’alimentazione, sapete, è già importante in condizioni normali, figuriamoci con questo clima; tant’è che, al contrario di altre volte, avevo già iniziato a sgranocchiare le mie barrette dopo soli 25 chilometri e una mezza banana al ristoro del Piccolo Mortirolo posto circa al settantesimo chilometro.
“Non è poi male la barretta gusto mela verde e fango; per non parlare di questa bevanda con sali minerali e chicchi d’asfalto.”
Mi perdonino i più schizzinosi, ma questa è la realtà che ho dovuto affrontare.
L’ascesa a Pitoro si dimostra la più agevole; vado su con la moltiplica grande per gran parte della salita così non perdo di vista il gruppetto con il quale sto ben viaggiando.
Ma il diavolo non si dice che fa le pentole ma non i coperchi?
E non siamo, forse, nel territorio di uno dei più famosi carnevali al mondo?
Queste domande introducono quello che ho nominato (spero che da lassù Gabriel Garcia Marquez non se la sia presa) 50 chilometri di solitudine. Cosa succede?
Succede, care amiche e cari amici, che al bivio dei due percorsi, dopo più di 80 chilometri di gara, la massa tira dritto verso il traguardo ed io, che invece ho svoltato (ma che ve lo dico a fare? Lo sapevate già) mi ritrovo solo. Inizialmente ho la compagnia di un collega viareggino ma questi, non appena la settima salita si palesa, mi pianta senza troppe remore.
“Poco male; raggiungerò qualcuno, mi raggiungerà qualcuno.”
E invece niente.
Scollino e mi lascio scivolare verso valle ma né davanti, tantomeno alle spalle, vedo sagome a loro volta incurvate sulla bicicletta così attraverso Camaiore ed inizio la salita numero 8 che in 4 chilometri circa mi deve portare sopra Monteggiori.
Qui intravedo il collega di Viareggio; vorrei raggiungerlo ma l’obbligo di fare i conti con le residue forze in campo mi consiglia di non fare colpi di testa dei quali potrei pentirmi in seguito.
Mai consiglio fu più gradito perché nonostante mi accorga che rosicchio terreno decido che è il caso di fermarmi al ristoro. Due pezzi di banana, il solito rabbocco della borraccia e giù.
“E’ inutile che continui a guardare avanti e dietro, Cas, ci sei solo tu,” mi convinco, “pensa ad affrontare Capezzano.” Capezzano Monte, nona ed ultima salita di giornata, misura 5 chilometri e mezzo ed ha pendenze fino al 12%; non male come ultimo sforzo!
Giunto alle porte di Pietrasanta ecco la curva a destra, ancora una curva a destra dopo un centinaio di metri e si sale.
La prendo bene, sento di riuscire a coordinare respirazione e pedalata e l’andatura non mi sembra malaccio se non fosse… Se non fosse che sono solo!
Non ho riferimenti, non ho persone a bordo strada alle quali chiedere quanto manca alla cima. “Che ore sono? Cristo da quanto sono in bicicletta? Calmati! Ragiona, Cas. Se ti hanno detto al rifornimento che erano le due, non può essere passato molto, al massimo mezz’ora; vedrai che per le tre e mezza hai finito. Concentrati come stavi facendo e pensa a Lei.”
Ma ho freddo, ci sono le nuvole sotto di me e le Alpi Apuane davanti… Ma c’è anche Eleonora. Accarezzo la Fede, che con le mani raffreddate quasi non sento di avere, e penso al rimprovero che mi farà (bonario, sa che è una domanda inutile chiedermi perché non ho optato per il corto) e questo mi dà coraggio. Incontro un collega fermo a bordo strada.
“Hai problemi? Serve una mano?”
Chiedo. “No, no. Tutto a posto.”
In effetti, ragionandoci a posteriori, sembrava in attesa di qualcuno ma poi, mi domando, cosa mi ha spinto a chiedergli se aveva problemi quando il primo ad aver bisogno sono io? Mah! Inizio discesa 200 metri.
Che cartello. E che notizia!
La discesa che da Capriglia riporta la corsa a Pietrasanta è ampia e ben asfaltata ed invita a far velocità; Chiara, poi, mi sembra una purosangue e immagino che giri il muso verso di me per chiedermi di spronarla come tante altre volte ho fatto.
“No, Chiara. Oggi no. Oggi giochiamo ad un nuovo gioco: porta a casa la pelle e gioisci.”
In effetti, sebbene rasenti la perfezione senza mai avere uno sbandamento, l’idea che possa avere una scivolata e che nessuno se ne possa accorgere si è insinuata in me e scacciarla non è facile.
Finita la discesa attraverso il paese tra l’indifferenza dei pochi passanti infreddoliti ed io che non so se vantarmi o vergognarmi. Penso ai grandi esploratori solitari, penso a Messner ed alle sue scalate. “Ecco, grande Reinhold, come si è sentito lei quando compiva imprese da sconosciuto?
Quando rientrava a contatto con l’umanità non si è sentito come me ora: un estraneo?”
A Marina di Pietrasanta la svolta a sinistra sul lungomare.
“Dai, Cas, è ora di chiuderla.”
Il cartello che indica 5 chilometri al traguardo mi dà nuova linfa e, nonostante la schiena dolorante, mi metto in posizione da cronoman e rilancio nel limite del possibile l’andatura.
Ecco Viareggio.
Meno 500 metri.
L’arrivo.
Non c’è speaker, non c’è musica. Testimoni del mio arrivo solo alcune signore, evidentemente in attesa dei loro compagni più attardati di me, ed il bip del rilevamento cronometrico. Continuo a dubitare se essere fiero o odiarmi per quanto fatto.
Dopo aver chiamato Eleonora mi dirigo in albergo; mi par di essere una maschera della commedia tragica greca, continuo ad aver freddo ma so che fra poco un doccia rimetterà tutto a posto.
Eccomi accolto dai compagni già lavati e stirati, Monica mi fa i complimenti, Alfredo mi rimprovera per non aver fatto il corto con il volto preoccupato, Gianni, Ivan e gli altri mi esortano a lavarmi il più alla svelta possibile mentre Luciano si preoccupa di parcheggiarmi la bicicletta.
Già… Chiara. Quest’oggi se ce ne fosse stato ulteriore bisogno ha dimostrato quanto sia affidabile ed io, dopo la doccia, la accarezzo ringraziandola.
Ovviamente non posso che dire Grazie Amore a Eleonora; il pensare a Lei ha costituito un grosso aiuto per mantenere alta la concentrazione in quelle che sono sembrate interminabili ore solitarie. In conclusione: più di una volta mi sono sentito il vecchio Santiago, il pescatore protagonista del libro Il vecchio e il mare di Hemingway, e molti di voi, amiche ed amici carissimi, mi vorrete chiedere perché?
Già. Anch’io mi pongo questo quesito e, onestamente, non solo in questa occasione ma, al momento, l’unica risposta che so dare è: perché mi diverto.

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