CESENATICO (Non una domenica come tutte le altre):

La sveglia suona. Sono le quattro del mattino.
Ma che ci faccio qui?
Lo scorso anno avevo detto che non sarei tornato, almeno non a breve, e allora?
Allora è successo che quella alchimia che chiamiamo coincidenza si è manifestata anche quest’anno; se l’anno scorso cadeva il decennale della morte di Marco Pantani, questa volta ho scoperto che, come me, anche il G.C. Fausto Coppi, società organizzatrice della manifestazione, compie mezzo secolo di vita. E allora festeggiamo insieme!
E festa sarebbe potuta anche essere se non avesse voluto partecipare a tutti i costi anche Giove Pluvio.
Eh già; dal giorno prima su Cesenatico incombono nuvole desiderose di scaricare il loro contenuto sul territorio interessato al passaggio di noi corridori, e allora che si fa?
E’ inutile, care amiche e cari amici, che vi dia la risposta, se sono qui a scrivere…
Così, appunto, facciamo suonare la sveglia e diamo il via a questa lunga giornata con le classiche operazioni pre-gara.
In griglia si ha la percezione che le defezioni sono molte ma non abbastanza per convincere gli 8000 avventurieri (e avventurosi) a sfidare, quest’oggi, non solo il percorso.
Ecco il colpo di cannone che dà il via alla gara.


Nei primi, pianeggianti, trenta chilometri il gruppo si mette in una lunga fila indiana ed io non faccio a meno di pensare ad un’altra, stavolta triste, ricorrenza: oggi, 24 maggio, è il giorno del centenario dell’entrata in guerra dell’Italia in quella che verrà ricordata come Prima Guerra Mondiale. Spero che i famosi ragazzi del ’99 non me ne vogliano se ho paragonato la nostra lunga e silenziosa fila alla loro marcia ma, del resto, sempre verso i monti si va.
Comunque, tornando alla mera cronaca, pedalo bene saltando sulla scia, ora di questo ora di quello, senza affanno pensando prevalentemente all’unico dubbio che mi porto dietro sin dalla partenza: percorso lungo o percorso corto?
Perché questa domanda?
Beh, già il meteo è una valida risposta ma a dare linfa all’incertezza c’è il fatto che non ho la condizione dell’anno scorso quando avevo più chilometri e più gare affrontate.
Pensa tu che penso io, eccomi ai piedi della prima salita: il Polenta.
Mi lascio subito allontanare da Mario (lui si, deciso a fare il lungo) e da Claudio ma non ci bado e cerco il ritmo che più mi si addice. Salgo senza affanno ma valuto che sono più coloro che mi superano che quelli che supero io; ma l’ascesa è lunga e riesco ad avere la mia vendetta tant’è che appena arrivato a Bertinoro scorgo, e in breve supero, la sagoma di Claudio. Nel falsopiano successivo aziono spesso deragliatore e cambio per paura che il fango possa far presa e causare malfunzionamenti. Bene, le gambe girano, la testa è lucida e Chiara risponde “Presente!” alle mie sollecitazioni, se non fosse che il meteo…
Acqua e temperatura decidono di coalizzarsi per spegnere ogni mio ardore; che succede?
Succede che comincio a sentire disturbi e stimoli mai avuti in competizioni, succede che costoro incidano sul rendimento e che nella seconda asperità, Pieve di Rivoschio, mi trovo a trascinare (come si dice in gergo) la bicicletta; qui si, vengo superato senza diritto di replica.
Ecco, in ogni caso, la cima ed il ristoro; ma ciò che mi rallegra e la presenza di due bagni chimici. Devio, appoggio la bici al cavalletto e mi fiondo dentro ad uno dei due. Passerà un buon quarto d’ora prima che possa riprendere la marcia, tra l’altro nel momento in cui Giove stava scaricando la sua massima quantità, infreddolito e con la mandibola impossibile da controllare; ma si va lo stesso!
Il freddo passerà, mi dico e così è e posso pensare al terzo impegno giornaliero: Ciola.
E’ più breve delle prime due ma ha pendenze che definirei il giusto antipasto del Barbotto.
Il freddo lascia spesso degli strascichi e nello sport si chiamano crampi, volevi farteli mancare?
Per fortuna li gestisco veramente bene, oserei dire come mai ho fatto in passato, e posso dedicarmi alla discesa ed alla prossima difficoltà il Barbotto, appunto.
Ormai ho deciso che farò il percorso corto, il pensiero di Eleonora in apprensione a Cesenatico è stato ulteriore motivo per la decisione presa, perciò questa è l’ultima salita ufficiale della giornata.
Perché ufficiale?
Chi non è mai transitato per l’Appennino deve sapere che le discese sono spesso costellate da piccoli strappi che spezzano l’illusione di poter planare sulla pianura come falchi sulle prede e, notoriamente, se si è già in difficoltà possono rivelarsi più insidiosi delle salite vere e proprie, reso l’idea? Bene, continuiamo la gara.
Come detto, il Barbotto rappresenta l’ultimo ostacolo ma non mi faccio prendere da animosità, che potrebbe risultare deleteria, e cerco il modo di salire con un ritmo adeguato anche perché l’erta è molto irregolare tranne l’ultimo chilometro assai duro; qui riprendo Claudio (ovviamente mi aveva superato durante la mia forzata sosta), scollino sulle note di “Highway star” dei Deep Purple (una delle mie canzoni preferite) e dopo una breve pausa al ristoro proseguiamo assieme, per quanto possibile, nella nebbiosa discesa; eh si, care amiche e cari amici, le nuvole basse hanno voluto esserci pure loro sul Barbotto e ci hanno invitato ad un nuovo gioco: indovina la curva; ho vinto io, in ogni caso, azzeccando , come mio solito, traiettorie e velocità di esecuzione, il premio? Il sole che a Sogliano ci ha deliziato e accompagnato per gli ultimi trenta chilometri. Allora tutto finito?
Macché! Questa volta una vite della moltiplica ha pensato bene di uscire per vedere come è fatto il mondo e, per fortuna me ne sono accorto in tempo, mi ha costretto a rimettere piede a terra, sdraiare la bicicletta nell’erba e riavvitare la “maledetta” (ho sempre con me un sacchetto con le chiavi necessarie per un primo intervento).
Riparto; riprendo Claudio (e tre!) e con un gruppo, che man mano che si raggiunge qualcuno si rimpolpa a vista d’occhio, si va al traguardo.
Bene. Finita. Ormai è tutta pianura, basta andar via regolari; così credo e spero ma che non è. A causa di cedimenti di alcuni colleghi davvero esausti mi trovo a dover tappare continui buchi e meno male che le gambe rispondono a queste continue sollecitazioni e agli schiaffi del vento laterale; mi trovo a pensare che l’anno scorso proprio nei paraggi staccavo tutti ed ora annaspo per restare attaccato.
Ma, per la miseria, non mi faccio staccare, penso mentre vedo la curva a sinistra che farà si che il vento mi sarà alle spalle e potrò rilassarmi.
Ecco Cesenatico.
Con un drappello che stimo in una ventina di unità concludo questi 130, sofferti e sporchi, chilometri, Non so se vantarmi di quanto fatto, dopotutto c’è chi il lungo lo ha fatto (chapeau), anche perché nemmeno il cronometro è da esaltazione con le sue cinque ore e venti minuti ma è, di certo, l’ennesima nuova esperienza da mettere in carniere condivisa con quasi 8000 colleghi autori tutti di qualcosa di speciale.
Certo c’è chi ha vinto e chi ci ha messo un’eternità ma, credetemi, amiche lettrici ed amici lettori, ciò che abbiamo passato tutti noi ciclisti e i volontari dell’organizzazione non è stata una domenica come tutte le altre.

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