TORINO (ritorno con impresa)

Salve a tutti!
Rieccomi a narrarvi di storie pedalatorie; vi sono mancato almeno un pochino?
Ditemi di si, dai, fatemi sentire parte della vostra vita.
Perché da maggio a oggi non mi sono fatto vivo? Semplice, non ho gareggiato.
In realtà quest’anno ho deciso di centellinare le mie presenze per vari motivi che non sto qui a spiegare (ci sarà modo più avanti di dare motivazioni per voi miei affezionati) perciò dò il via alla cronaca di quanto accaduto nel capoluogo piemontese.
Anticipo subito tutti dicendo che non saranno solo rose e fiori quello che leggerete, ma non precorriamo i tempi.
Il via, con un quarto d’ora di ritardo (prima nota dolente), e dato nella bella piazza Castello con i palazzi della Regione, Reale e Madama a far da contorno ai poco più di 2000 partecipanti; usciamo dalla città con circospezione perché il primo chilometro è caratterizzato dalla pavimentazione in lastricato e dai binari, troppi, da attraversare.
C’è una sorta di chilometro zero, come nelle gare professionistiche, che coincide con l’inizio della prima salita: il colle Maddalena. Sono circa 6 chilometri abbastanza impegnativi, con diversi tratti con pendenze superiori al 10%, dove comunque salgo bene, senza affanno, anche perché alcuni di noi hanno stabilito in cima il ritrovo per poi farla insieme. Approfitto per godere del paesaggio con vista sulla città ed il contorno delle Alpi grazie ad una giornata che si manterrà limpida con il passare delle ore.
Ecco la vetta, scollino e mi vado a posizionare in discesa al primo tornante e qui assisto a diverse acrobazie di alcuni sprovveduti frutto più di istinto di sopravvivenza che di reali capacità nella guida del mezzo e non vi nego di aver temuto per la mia incolumità.
Bene; tutti insieme Luciano, Erminio (che faranno il percorso corto), Luigi, Maurizio, Gianni, Ivan e chi scrive; non siamo soli, ovviamente, gruppi piuttosto corposi ci vedono al loro interno dove si pedala bene e con ritmo sostenuto (troppo!) così che il percorso per una buona oretta (così, almeno, credo) scorre veloce e si entra nella provincia di Asti. Qui i buoni propositi ed i sorrisi lasciano il posto a imprecazioni e maschere greche perché abbandoniamo la, poca, pianura per avventurarci fra le colline.
Avventurarci direi che è il termine esatto per far capire a voi, care amiche lettrici e cari amici lettori, come si è svolta la mia gara da qui in poi.


Sono a Cisterna d’Asti, al cinquantesimo chilometro più o meno, quando, scalando il breve muro in pavé, sento il cerchione posteriore toccare terra.
“Ho forato?” Mi chiedo e per darmi risposta decido, a mio rischio e pericolo, di fare un test: affronto la discesa.
Se sbando in curva, penso, allora il tubolare è sgonfio, e così è; accosto e decido di gonfiarlo per vedere la reazione che è positiva, così decido che se perde piano posso fermarmi ai ristori a dare un rabbocco e arrivo al traguardo senza doverlo cambiare e vi dico subito che i propositi saranno mantenuti.
Voglio farmi perdonare l’attesa e prendere l’iniziativa ma ecco l’incredibile muro di San Matteo, tre-quattrocento metri al 20% di pendenza da lasciare tanto di quel acido lattico che mi passerà forse fra un paio di giorni. Da qui in poi, inoltre, non è facile organizzarsi, i continui su e giù non consentono di avere un’andatura costante e non è nemmeno possibile restare uniti; ma nonostante i continui tira e molla arriviamo al ristoro dove la sorpresa è l’assenza di acqua, unica bevanda disponibile è la Coca-Cola; niente sali o thè che, vista la temperatura, anche freddo andava bene perciò ripartiamo un po’ spiazzati, come tutti i colleghi attorno a noi, sperando che al prossimo la situazione sia migliore.
Cerchiamo di organizzare il nostro trenino ma, tranne per Luigi e Maurizio, non c’è molta energia; mi trovo costretto a discutere proprio con Luigi, che vorrebbe raggiungere un gruppetto poco più avanti, e cercare di fargli capire che le forze sono al limite; paradossalmente riusciamo a raggiungere lo stesso chi ci precede perché l’ennesimo muro al 20% li inchioda quasi tutti, vorrei rallegrarmi perché non sono il solo, evidentemente, non in discrete condizioni (eufemismo) ma continuo a dispiacermi per essere la zavorra del quintetto, credetemi più di una volta ho pensato di dirgli di andare e lasciarmi al mio destino e per la prima volta in carriera mi è balenato il proposito del ritiro.
Quello che non capita per ore, però, può succedere quando meno te lo aspetti, ma non corriamo troppo in avanti perché prima c’è da segnalare l’apice del mio non essere in palla e succede a Villa San Secondo quando, cioè, nell’affrontare una ennesima rampa in pavé posta dietro una secca curva a sinistra, non ho la prontezza di cambiare, e con me Ivan forse tradito dal sottoscritto, e sono costretto a farmi quei 50 metri a piedi; la mancanza di lucidità in questo frangente è un ulteriore campanello d’allarme che mi fa pensar male.
I pensieri negativi cominciano a lasciarmi quando troviamo una fontanella frequentata come un ristoro; riempiamo le borracce, ci rinfreschiamo e partiamo un po’ più arzilli destinazione, parziale, il secondo ristoro posto al chilometro 125 circa e dal quale è possibile vedere Superga.
Come il capitano Achab di Melville, anch’io decido che catturerò ad ogni costo la mia Moby Dick; trangugio due mezzi bicchieri di vino bianco quasi fossi in una taverna malfamata e parto, ma prima di dare il là alla caccia osservo la maestosità del Santuario dedicato a San Giovanni Bosco: che emozione! Qualche istante di contemplazione e si torna a far sul serio (quando mai abbiamo scherzato!) ma a Castelnuovo Don Bosco anche Maurizio accusa le sue difficoltà mentre, per contro, il sottoscritto sembra quello più in palla quando la strada sale e me ne compiaccio perché così posso essere utile alla causa anch’io, riesco persino a tenere a bada i crampi quando si palesano ma come Moby Dick si immergeva per sfuggire al suo nemico, veniamo a sapere che il nostro traguardo è stato spostato di una dozzina di chilometri, mica poco per la miseria! Ci viene spiegato, da un collega del posto, che affronteremo il muro di Sciolze, cioè l’ennesima scalata a due cifre di oggi, ed è proprio durante questa asperità che il nostro quintetto esplode, restiamo solo io e Maurizio e nonostante la pedalata lenta, degli altri tre nemmeno l’ombra; mi preoccupo un po’ mentre giungiamo al cartello indicatore dei meno 10 ma Maurizio, che si è ripreso dalla crisi precedente, mi esorta a continuare; guai a fermarsi si correrebbe il rischio di non essere in grado di ripartire.
Ecco la curva a destra ed il successivo cartello che ci dicono degli ultimi 8 chilometri; ora, eccezion fatta per un breve tratto in falsopiano, sarà tutta salita fino al Santuario, mi accorgo che Maurizio non tiene il mio passo ma non voglio staccarlo dopo quanto ha fatto così a 6 chilometri mi fermo per dare un’ultima gonfiata al tubolare e lo lascio andare sperando di vedere gli altri 3 in rimonta, purtroppo invano.
Nel giro di un chilometro riprendo il mio compaesano che ancora perde qualche metro ma è lì e sono certo che mi riprenderà anche perché c’è un ultimo tratto di respiro a 2 chilometri dal traguardo, dove approfitto per ammirare la cima innevata del Gran Paradiso (almeno così mi viene spiegato), ed io ho raggiunto un paio di colleghi che a loro volta stanno aspettando un loro compagno di squadra.
Ultimo chilometro. Quel che sognavo si avvera. Come la Balena Bianca si mostra a Achab, così la Basilica si manifesta in tutta la sua bellezza; la lenta andatura mi consente di ammirare a fondo tal magnificenza, ma non è ancora il momento di porre la parola fine perché gli ultimi 600 metri sono belli “in piedi” ma ormai ci sono, l’applauso della gente è sincero ed io ringrazio e mi giro convinto di avere Maurizio sulla scia ma non è così; stringo la mano comunque a chi ha fatto la mia stessa fatica e taglio il quanto mai agognato traguardo.
Che dire, care amiche e cari amici, è stata dura perché quest’anno non ho molto allenamento e l’attitudine a sforzi così prolungati, durante la gara ho avuto i brividi e ho tremato temendo di essermi fatto venire la febbre per lo sforzo (e questo mi sono ben guardato di dirlo agli altri per non preoccuparli), poi ho fatto gli ultimi 30 chilometri con onore, mi vien quasi da dire che mentre molti calavano io uscivo alla distanza; ma se ci sono riuscito devo ringraziare la pazienza di Luigi, Maurizio, Gianni e Ivan, a loro, questa volta, il mio grazie sincero.

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