CARPANETO PIACENTINO (pedalando nel passato):

La nebbia!
E si, care amiche ed amici, chi ci accoglie alla partenza della gran fondo della coppa piacentina è il grigio mantello che fa sembrare la giornata un tantino autunnale e noi parecchio impreparati.
Io stesso, pur partendo coperto da casa e provvisto di manicotti e mantellina antivento (che non userò), rimpiango di non aver portato i guanti di lana leggeri e adatti all’occasione.
Coperti come meglio si può ci dirigiamo in griglia (tenendo ferma la mandibola per non far sentire il picchiettìo dei denti) dove inizia il rito dei buoni propositi che puntualmente verranno disattesi. “Oggi, ragazzi, vista la difficoltà del percorso mi vedrete partire sui 30/35 all’ora, non di più.”
Dico agli altri
Naturalmente mi tradisco da solo perché una volta entrati sulla provinciale 14, che porta verso l’Appennino, e individuato il gruppetto che ritengo consono (non è vero, in realtà battezzo una ruota e mi faccio portare) non lo mollo e così il contachilometri mi dà del bugiardo patentato; 33, 37, 38, 40 e, in alcuni casi, oltre e i chilometri scorrono.
“No. Non va bene. Adesso raggiungiamo quel gruppo e li mollo per stare con quelli.”
Penso. Ma poi…
Ma poi siamo già ai piedi della prima salita che, attraversando Gropparello, Groppovisdomo ed altri piccoli paesi, ci porta fino ai 920 metri di Prato Barbieri.

La salita la inizio discretamente, per distrarmi cerco il castello di Gropparello visto che intorno aleggia Gandalf il grigio (ricordate il mago del Signore degli anelli?”) che non permette di spaziare con lo sguardo verso la valle; il fatto, poi, di essere ancora abbastanza raggruppati obbliga a tenere la concentrazione sulla strada. Strada che sale alquanto irregolare e non mi consente di prendere un’andatura fissa. Incontro Mauro stranamente in difficoltà, vengo superato, poi supero, poi di nuovo superato da Claudio.
“Dunque: Umberto mi ha passato, Mauro e Claudio mi abbandonano adesso, mi manca Silvio.” Perché quest’appello? Perché la partenza fa un po’ difetto ai miei compagni, tranne Mauro, e i più bravi mi riprendono dopo diversi chilometri.
“Stefano!”
Ecco Silvio. Camoscino è il meno coraggioso ma quando la strada punta verso l’alto non tarda a far sentire la sua presenza.
E così tutti i migliori li ho davanti; tutto nella norma d’ora in poi.
Beh, non proprio tutto perché negli ultimi chilometri di salita (ricordo che si trattava di quasi venti chilometri di ascesa) procedo a rilento, mi sento vuoto e il mio pensiero va a Eleonora a casa con la febbre.
“E se l’avessi anch’io? Vabbè, vai così tanto decidi al bivio con il medio.”
Penso mentre il ristoro, che puntualmente salto, ed il GPM mi si parano innanzi.
Ed ora giù!
Nonostante una sede stradale discutibile dal punto di vista dell’asfalto (gli Appennini ultimamente sono soggetti a movimenti franosi), mi dò da fare non tanto per quello che riguarda la velocità bensì nel tirare dritte le curve in modo che la velocità venga di riflesso.
Non ho modo di godere per molto perché già si profila il secondo impegno della giornata. Non so perché quelle quattro case abbarbicate ad oltre 800 metri di quota si chiamino così, ma chiamare una salita Tiramani… Beh, lasciatemelo dire, mai nome fu più appropriato.
Quella rampa malefica di poco meno di 3 chilometri e con punte del 15% fan si che devi aiutarti con mani e braccia per giungere in cima. In ogni caso, e con punte di velocità rasenti i 7/8 chilometri orari, giungo in cima dove è posizionato il bivio con il percorso medio.
Non domandatemi, care amiche ed amici, cosa ho scelto; la domanda ve la faccio io: credete che se facessi i percorsi medi avrei modo di narrarvi ciò che vedo?
Bene, fatta chiarezza (lo so, lo so che non dubitate delle mie capacità atletiche anzi, credo talvolta che mi sopravvalutiate) si proceda spediti (?).
Passato Tiramani la strada di nuovo scende e ora anche il tempo si mette al bello e la temperatura si fa gradevole così decido di abbassare i manicotti un po’ zuppi di sudore (poco più avanti li toglierò definitivamente). Con un gruppo di una decina di unità affrontiamo lo spazio che separa Tiramani dall’inizio del terzo punto critico che è la salita più impegnativa del percorso, non tanto per la lunghezza, poco più di 5 chilometri, ma la pendenza massima (17%) ed il posizionamento la rendono alquanto difficoltosa; i crampi, poi, vorrebbero iniziare ad essere protagonisti ma chi mi preoccupa di più è la schiena che già dopo il cinquantesimo chilometro ha iniziato a dolermi. Se già un dolore è difficile da gestire in salita, figuratevi due. Scelgo di giocarmi la carta distrazione guardandomi attorno dove prati in fiore ci accolgono e i fili d’erba, mossi dal vento, sembrano applaudire al passaggio di ognuno di noi; in basso, poi, il Lago di Mignano ci fa compagnia per i primi minuti della scalata.
Ora fa proprio caldo, il sudore che scende dalla fronte mi brucia gli occhi e la mia scorta idrica scarseggia; per fortuna anche questa passa ed in cima c’è il secondo ristoro al quale mi fermo per riempire la borraccia e lavarmi il viso.
“Forza Stefano, più di metà è andata e di duro duro rimane Castell’Arquato.”
Mi do coraggio e grazie alla provinciale 4 affronto la discesa finalmente su strada ampia. Ancora riesco a far gruppo con altri sette (alcuni raggiunti, altri arrivati) e, viaggiando sul filo dei 40 chilometri orari, un po’ per uno diamo l nostro contributo per andare al traguardo.
Purtroppo il nostro entusiasmo viene smorzato dall’ennesima erta che in 3 chilometri circa ci porta a sfiorare il borgo medievale di Vigoleno. Non è impegnativa, presa singolarmente, ma dopo una ottantina di chilometri (e che chilometri!) anche lei si fa sentire; così il gruppo si sbriciola ma ciò mi permette di ammirare la bellezza di questo paesino posto su di un cucuzzolo con le mura a proteggerlo da assalti nemici.
“Non preoccupatevi, messeri, siam cavalieri erranti che facciam della fatica il nostro sollazzo e del pedalar continuo il nostro piacer.”
Ed anche Vigoleno passa, ma ci tornerò da turista con la mia Eleonora.
Altra breve discesa dove alcuni di noi riescono a ricompattarsi ed un poco di pianura, per illuderci che si possa procedere insieme, ed ecco che siamo alla quinta salita che, in 4 chilometri e mezzo, ci porterà a Vernasca. Voglio essere onesto; prima ancora che arrivasse il cartello di inizio salita ho mollato non riuscendo a tenere il passo di chi stava con me reputando opportuno salvare il salvabile per il finale ed in effetti, e grazie alla regolarità della strada, salgo abbastanza bene e tengo a tiro i miei colleghi tanto che mi prendo il lusso di riaccodarmi in discesa.
Giunto a Lugagnano Val d’Arda osservo il contachilometri che mi dice che stiamo passando i 100 chilometri di gara e mi stupisco di me stesso perché sento le gambe girare ancora bene; si, certo, un po’ indolenzite e così dicasi della schiena, ma nel complesso posso dare il mio contributo fino a… Castell’Arquato!
E’ esattamente dove è posto il cartello degli ultimi venti chilometri che inizia lo spauracchio. Alcuni dati: lunghezza un chilometro e 800 metri con pendenza media del 6% e massima del 16%.
Tutto qui?
Ebbene no. Quello che trasforma da duro a durissimo è il tratto di qualche centinaio di metri in acciottolato. Si, care amiche e cari amici, avete capito bene. Quei sassi cementati tra loro che fan tremare le braccia e rendono l’equilibrio precario.
Però è suggestivo passare sotto l’arco che indica l’entrata in città vecchia…
Lo diventa ancor di più grazie all’applauso che turisti ed abitanti del luogo tributano a tutti noi (e qui lasciate che io spenda un grazie di cuore).
Il selciato finisce ma non la salita, ancora 200 metri belli in piedi; 200 metri maledetti e…
E che bello!
Al termine del muro, infatti, volto lo sguardo a destra e, credetemi, rare volte al termine di una fatica così ho pensato che ne valesse la pena. Il paese è sotto di me, la nitidezza della giornata mette in risalto la Rocca lasciando alle spalle la valle sottostante. Voglio cogliere ogni attimo di quello che i miei occhi stanno osservando e lo faccio grazie al ristoro dove ne approfitto per mangiare mezza banana, riempire ancora la borraccia e scambiare le mie solite quattro chiacchiere con i volontari.
Forse la consapevolezza che salite non ne avrei più trovate, forse il pensiero delle stupende immagini appena viste o chissà cos’altro, fatto sta che accarezzo il manubrio della mia Chiara e la sprono per l’ultima galoppata.
Il falsopiano diventa la rampa di lancio per la picchiata nella successiva discesa al termine della quale mi ritrovo con soli due colleghi alla ruota.
“Dài, andiamo così dando ognuno il suo, tanto dobbiamo solo andare all’arrivo.” Li esorto.
Però mi accorgo che ho più forza di loro e senza farlo apposta li stacco quando mancano 10 chilometri.
“E adesso cosa faccio? Ho gli altri a 200 metri, ho pure il vento contro…”
Mi volto e vedo un collega avvicinarsi.
“Forse li sta portando a rimorchio lui.”
Ma non è così perché arriva solo; si accoda per tirare il fiato, ed io lo lascio fare, poi mi dà una mano. L’andatura, in questa stradina di campagna che fa tanto Parigi-Roubaix (che, peraltro, si sta correndo in contemporanea), non va oltre i 30 chilometri orari ed io ne sono un po’ rammaricato ma poi, per nostra fortuna, a 5 chilometri c’è la svolta a destra; ancora un chilometro di strada campestre, dove superiamo colleghi più lenti, ed ecco la provinciale; nuova curva a destra e… Vai! La nostra velocità di crociera si attesta sui 42/43 chilometri orari e in breve giungiamo sul traguardo dove non manco di ringraziare il collega cremonese che, devo riconoscerlo, si è sobbarcato il peso maggiore dell’azione.
Un saluto ai compagni che hanno fatto il percorso medio e sono lì a godersi l’arrivo ed ho l’ultima piacevole sorpresa quando, prendendo il telefono per avvisare Eleonora della conclusione, mi accorgo che ho impiegato meno delle mie più rosee previsioni.
Eh si. Voi penserete che questo sia l’appagamento ma, concludendo, vi assicuro che la gioia in questa giornata è stato l’ambiente circostante; dall’itinerario disseminato di castelli, chiese, pievi, alle valli disegnate dai fiumi Chero e Arda che con la loro moltitudine di colori mettevano allegria anche nei tratti più impegnativi.
Ringraziandovi per l’interesse che mi dimostrate ogni volta vi do appuntamento a Viareggio.

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