Predazzo (Pedalando a tre metri dal cielo):


Predazzo. Verrebbe da dire finalmente Predazzo e la Marcialonga. Si perché questa gran fondo avrei dovuto disputarla a fine maggio ma il maltempo, che flagellava in quel periodo il nord Italia, costrinse gli organizzatori a lasciare a casa gli iscritti e cercare una nuova collocazione nel calendario. E così eccoci qua, il mattino di sabato 6 luglio, in viaggio mia moglie Eleonora, la mia bicicletta Chiara ed io, destinazione Moena dove passerò la giornata di vigilia della gara. La giornata scorre veloce grazie alle chiacchiere dell'amico Mirco, titolare dell'hotel La rondinella (dove dormirò), le prese in giro di suo fratello Christian e la conoscenza di Evelyn che, in veste di responsabile della parte linguistica dell'Istituto ladino, mi sta aiutando in un progetto che non sto qui a spiegare altrimenti vi annoio. Devo ammettere che Eleonora, Mirco, Christian e Evelyn, aggiunti ad una discreta conoscenza che ho del territorio, fan si che mi senta alquanto responsabilizzato a fare una buona prova. E veniamo alla gara. Alle 7.15 esco dall'albergo per dirigermi alla partenza. Da Moena a Predazzo ci sono 8/9 chilometri quindi, essendo solo, mi permetto di pensare a molti tratti del percorso (almeno quella parte che conosco) e mi accorgo che spesso penso all'Alpe di Pampeago; a questa salita di soli (?) sette chilometri e mezzo che non ho mai fatto in bicicletta ma, grazie alla sua durezza, è entrata a far parte delle mitiche del Giro d'Italia. "Chissà come andrò su? Di certo mi ci vorrà più di un'ora solo lì." Penso mentre, grazie alla strada in leggera discesa, viaggio senza fatica a 30/35 chilometri orari. Eccomi a Predazzo, ed ecco arrivare anche i miei compagni alcuni dei quali, abituati a fare i percorsi medi, hanno deciso, per oggi, di fare il lungo (tanti, tanti complimenti ad Alfredo, Giovanni e Giuseppe. Non è cosa da poco ciò che avete fatto!). Ore 8.30. Partenza all'ombra del campanile della Parrocchiale dei ss. Filippo e Giacomo. Tantissime persone ad applaudirci (e moltissime saranno anche lungo il percorso, soprattutto nei punti chiave). Giunti sulla statale si punta verso sud, Val di Fiemme, e quindi in discesa.Oh, care amiche e cari amici, mai spinto il massimo rapporto ad oltre 50 all'ora con tale facilità. Così con la compagnia dell'Avisio, che ci incita con i suoi flutti, passiamo Ziano, Panchià, lambiamo Cavalese e, di fronte, il Cermis, fino al lago di Stramentizzo. E qui, in località Capriana, il percorso cambia umore; l'allegria che si prova quando la strada tende verso il basso, lascia il posto alla cupaggine ed al silenzio, interrotto solo dagli sbuffi respiratori, dell'arrampicata.


Nella prima parte dell'erta che ci condurrà al Passo San Lugano, mi accorgo di salire bene; tengo il passo di Gianni notoriamente più scalatore di me (o forse era lui che andava di conserva? Conserva, Stefano, conserva). Ci sono parecchi tratti in pavé, a rendere ancora più difficoltoso l'esercizio, che passo usando tutta l'esperienza di un praticante delle classiche del nord. "Ma quando mai hai affrontato un Giro delle Fiandre o una Parigi-Roubaix, tu?" Ehm... E' vero. Non sono nemmeno stato professionista; però come dimenarsi sull'acciottolato ci veniva insegnato da ragazzini. Non mi credete? Ascoltate qua: mani larghe sulla parte alta del manubrio per avere il pieno controllo della direzione da prendere e sedere verso il fondo della sella per premere, così, sulla ruota posteriore ed evitare che slitti facendovi fare, di conseguenza, pedalate a vuoto. No, amiche ed amici, non ho la pretesa di essere maestro di ciclismo, però qualcosina posso insegnarla anch'io. Torniamo alla gara. Io e Gianni facciamo parecchi chilometri insieme (Silvio e Luigi li abbiamo lasciati andare a giocarsi le proprie carte), lo perdo di vista poco prima di scollinare al Passo di Pramadiccio. Non ne faccio un dramma, anche perché abbiamo fissato su all'Alpe la riunione, e mi appresto, con la mente, ad incontrare Sua Maestà. Stava. Svolta a sinistra e... Bam! Lui è già lì, in piedi. Non ti permette un approccio dolce, no. Lui, con la sua imponenza, vuole fare da spartiacque fra gli uomini e gli ominicchi. "Avanti, piccolo umano, vediamo di che pasta sei fatto." "Oh no... Mi scusi... Io non sapevo, o meglio, avevo visto... Cioè immaginavo... Comunque mi scusi se le ho fatto il solletico ai piedi, ora mi giro e prendo per Tesero così non la disturbo più." "Ma che dici, Stefano, torni indietro?" "Caspita, guarda qua. Non vado che a 5/7 all'ora." "Quindi? Guardati intorno. Stanno andando come te e poi cosa dici ad Eleonora? E che figura ci fai con Mirco ed Evelyn dopo che hai sbandierato ciò che avresti fatto? Semmai fermati a fare pipì così ti rilassi e riparti." E così, con i miei botta e risposta, salgo. A 3 chilometri dalla cima vengo raggiunto da Ivan e Mario e con loro arrivo al passo dove, al ristoro, c'è Gianni ad aspettare. Nella sosta trovo il tempo di avvisare Eleonora per poterle dare un quadro della situazione, quindi giù nel toboga che ci porterà ad Obereggen e poi, su strada decisamente migliore, a Ponte Nova. Qui accostiamo, Mario ed io che come al solito in discesa siamo una spanna superiori (il contachilometri stavolta ha raggiunto quota 81), il tempo per toglierci santa mantellina e, ricostituito il quartetto, ci dirigiamo verso l'ultima vetta, il Passo di Costalunga, risalendo quella porzione di Alto Adige chiamata Val d'Ega (o Eggen Tal, da queste parti). Da Birchabruck (è Ponte Nova) il passo dista una quindicina di chilometri tendenzialmente tutti in piedi ma la salita vera e propria, secondo me, inizia a 9 chilometri dalla vetta quando, cioè, arriva l'abitato di Nova Levante (o Welschnofen). Da lì, e con pendenze costanti tra l'8 ed il 10%, si sale con un dislivello di quasi 500 metri in un paesaggio senza eguali. Il primo a chiamarti è il Catinaccio che con le sue famose Torri del Vajolet ti si para davanti quasi a dirti che non c'è via d'uscita. Poi, da poco passata la metà della scalata, ecco il Lago di Carezza con il Latemar ancora innevato che si specchia orgoglioso in quella pozza verde smeraldo. Qui, complice l'atavico mal di schiena, ne approfitto per una breve sosta e ringraziare Madre Natura per l'opera d'arte compiuta. Forse molti di voi conoscendomi, e quindi sapendo che spesso sono in vacanza da queste parti, non capiranno perché mi sono fermato a rimirare un panorama già visto; venite a vederlo una volta e vi assicuro che la voglia di rivederlo, e rivederlo, e rivederlo vi verrà senza che ve ne accorgiate. Comunque no ho tempo per fare il turista e, anche se stiamo aspettando Ivan in notevole difficoltà per dolori vari, dobbiamo arrivare ai 1745 metri, sul livello del mare, del Costalunga. Eccoci. Mario ed io ci complimentiamo pur sapendo che al traguardo mancano quasi 30 chilometri; ma sono quasi tutti in discesa perciò... Perciò niente perché fermo al ristoro, e nonostante le voci di colleghi e volontari, io ascolto le voci dei giganti: il Catinaccio mi parla da sinistra, gli fanno eco il gruppo dei Monzoni di fronte ed il Latemar a destra ed io, come a rispondergli alzo il bicchiere (c'era una bibita, cosa credete che mi sia fatto un bicchiere di Teroldego?), bacio la Fede e mi giro verso il banco del ristoro. "Signori. Complimenti a tutti. A voi colleghi per quanto fatto ed a voi volontari per l'aiuto." Ecco, forse sarò sembrato pazzo ma so che in montagna non importa quanto ci impieghi ma la forza di volontà che ci metti e per me è ciò che conta. Rimettiamo la mantellina e giù, con il sottoscritto a disegnar curve e scandire il ritmo. Moena. Entro come un assatanato in paese, passo davanti all'albergo dove c'è Lei ad aspettarmi. Un fugace saluto e sono già fuori dall'abitato. Forno, Mezzavalle ed ecco Predazzo. Tagliamo il traguardo in parata poi, giusto il tempo di riconsegnare il chip e ricevere la medaglia commemorativa, risalgo la valle complimentandomi con coloro che ancora devono terminare tra i quali Giovanni, Giuseppe e Alfredo che stanno, a loro volta, piombando sul traguardo. Finalmente l'albergo. Eleonora è ancora seduta lì fuori; le metto la medaglia al collo perché ritengo che le nostre compagne meritino una gratifica per quei sacrifici non visti che, a loro volta, fanno ogni qualvolta noi si partecipa ad una gara. Sia che vengano con noi o restino a casa. Con questa per quest'anno ho chiuso; non so cosa farò il prossimo anno. Ad onor del vero ci sto lavorando perché vorrei continuare a raccontarvi nuove storie. Permettetemi, per il momento, di godere di ciò che ho fatto.

CONCLUSIONE:
Per la prima vota ho partecipato ad una challenge ma non mi sono fatto prendere dalla frenesia della classifica individuale (spero di aver dato il mio contributo per quella a squadre). L'ho fatto perché ho visto in ciò l'occasione per vedere e percorrere posti e strade nuovi. Da ogni gara sono uscito con la gioia per l'esperienza fatta, anche dove ho sofferto come mai in vita mia, e per questo ringrazio Umberto per avermi convinto. Avrei voluto descrivere più aneddoti vissuti, e volti, e personaggi con i quali mi sono intrattenuto durante le pedalate. Ma il timore di annoiarvi, perché mi sarei dilungato eccessivamente, mi ha fatto desistere; perciò passo direttamente ai miei personali ringraziamenti. Ringrazio tutti i compagni del Pedale Novatese per il cameratismo, non importa su quale percorso si cimentavano. Non posso non ringraziare Cosma, il mio meccanico/negoziante, per avermi sempre fatto trovare la bicicletta a puntino. Grazie di cuore a Bruno e Franca, i miei suoceri e tifosi (adesso me la tiro un po'), sempre interessati all'esito delle mie scorribande e pronti a rifocillarmi se dal ritorno da esse non ho mangiato abbastanza. Infine, e non poteva essere altrimenti, il mio speciale grazie a Lei, mia moglie Eleonora, per il sostegno critico (me la passate la locuzione?), che mi ha portato a prendere sempre rischi calcolati, e per il suo costante pensiero che mi ha aiutato nei momenti difficili. Consentitemi per concludere, amiche lettrici ed amici lettori, di segnalarvi i bambini. Si, proprio loro che durante i passaggi nei paesi toccati dalle varie manifestazioni, erano a bordo strada ad incitarmi. Che bello sarebbe se, anche grazie ad un ferro vecchio come me, qualcuno di loro si appassionasse a questo sport e magari, divenuto campione, dichiarasse che la fiamma del ciclismo si è accesa al passaggio di una gran fondo. Immaginate se a quel punto io, vecchio incanutito e con il bastone, mi avvicinassi e gli dicessi: "Ero io."

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