IN RICORDO DI PANIZZA (Ovvero quando il ciclismo aveva un che' di epico)

Era già un paio d’anni che Roberto mi chiedeva di partecipare con lui al raduno benefico dedicato a Wladimiro Panizza in quel di Cassano Magnago.
Piccolo cappello per chi non conoscesse la persona in questione.
Fu ciclista professionista a cavallo degli anni ’70 e ’80; valente gregario, non mancò di togliersi soddisfazioni personali raccogliendo, se non erro, una ventina di vittorie ed avere la possibilità di vestire la Maglia Rosa al Giro d’Italia, manifestazione dove detiene il record di partecipazioni (ben 18!), e la maglia azzurra in vari campionati del mondo.
E mi fermo qui.
Quando la proponemmo in sede pensavamo di avere cinque, al massimo dieci adesioni e sono rimasto piacevolmente sorpreso quando il presidente Paolo, con lo slancio che lo contraddistingue, mi ha comunicato che ci sarebbe stata una partecipazione di squadra (grazie a lui ed a tutto il consiglio direttivo per questo atto solidale) al punto che ci siamo presentati in una ventina al ritrovo di domenica 27 ottobre.
“Chi viene in bici? Chi va in macchina?”
Queste sono state le domande che il venerdì precedente aleggiavano fra i presenti; tant’è che una dozzina di temerari (tra i quali chi scrive) si sono ritrovati alle 7 del mattino per avventurarsi, visto il meteo incerto, lungo il tragitto che separa Novate alla cittadina del basso varesotto. Giove Pluvio ci aspettava subito dopo entrati nella provincia di Varese, a grandi linee fra Saronno e Cislago, facendoci capire che la giornata non sarebbe passata come una passeggiata di salute.


“Ma dai! Cosa volete che sia dopo tutta quella presa durante le gran fondo?”
Mario ha ragione. Nelle competizioni da noi affrontate la pioggia è stata una costante; però adesso siamo a fine ottobre, accidenti! E proprio perché ne ho presa anche troppa durante l’anno che adesso ne ho pieni i cosiddetti!
Non lo nego, care amiche e cari amici, a Turate volevo svoltare a destra, prendere per Lomazzo, poi Cermenate ed infine la Comasina e tornarmene a casa. Perché non l’ho fatto? Per mera codardìa (non volevo essere l’unico a fare un gesto simile)? Può darsi. Per rispettare la parola data? E’ plausibile anche questo.
Sta di fatto che arriviamo alla meta discretamente zuppi al punto che quando la manifestazione prende il via, un quarto d’ora dopo il nostro arrivo, la mandibola inizia a scandire il ritmo obbligandomi a tenere la bocca chiusa per non far sentire il picchiettìo dei denti.
Tempo di riacclimatarmi, un paio di chilometri buoni, e cerco di guardarmi attorno per conoscere la zona che a me è totalmente nuova. L’operazione è resa vana dal maltempo che, imperterrito, continua a scaricarci addosso secchiate d’acqua variando a suo piacimento l’intensità cosicché passo il tempo ed i chilometri chiacchierando con Matteo spiegandogli come fare per frenare in discesa con la strada umida.
Così parla tu che parlo io arriviamo a Varese; qui noto gli sguardi compiaciuti dei passanti che si parano a bordo strada attirati dalle sirene delle moto staffette. Qualche bambino ci saluta forse pensando di vedere dei campioni (e perché non lo siamo per certi versi?); tempo di rispondere ai saluti ed eccoci fuori città. Qui la strada comincia ad impennarsi per raggiungere la Valganna con conseguente sfilacciamento del gruppo. Poco male, resto in coda con Matteo e pochi altri tanto, non essendo una competizione, davanti prima o poi rallenteranno consentendoci il rientro. Così avviene e, passate le due gallerie, iniziamo ad ammirare la valle. Oddio, ammirare è un po’ esagerato perché le nuvole basse non consentono di spaziare più di tanto.
Però il contrasto delle foglie sugli alberi che va dal verde al giallo oro con un’alternanza che, seppur casuale, sembra messa lì apposta appaga l’occhio del viandante che transita; si aggiunga, poi, una capiente marmitta che a bordo strada sforna caldarroste a profusione ed il quadro autunnale è completo.
Il lago di Ganna, che si affaccia alla nostra sinistra, è l’avviso che fra poco si dovrà fare sul serio. Infatti poco fuori il paese ecco la svolta a destra e le prime rampe della salita che ci porterà al giro di boa.
Ooops. Scusate. Non l’ho fatto apposta, credetemi.
Fatto cosa?
Beh, ho parlato di giro di boa e, ironia della sorte, il paese in questione si chiama Boarezzo. Giudicate voi se non è un caso fortuito…
Comunque, giochi di parole a parte, prima di giungervi bisogna arrampicarsi per una salita di quasi quattro chilometri con pendenze che arrivano anche al 10%.
Salgo tranquillo facendo da scudiero a Matteo, il quale è preoccupato per quando si dovrà scendere, facendo un po’ di slalom fra foglie e ricci che creano tappeti di vari metri quadrati sull’asfalto.
Dopo circa un chilometro di ascesa raggiungiamo Danilo. Il ragazzino è in palese difficoltà, procede a rilento tant’è che lascio andare Matteo e decido di restare al fianco del giovane compagno di squadra. Quando la pendenza si fa più arcigna lo vedo rallentare vistosamente al punto che l’andatura si attesta fra i sei e gli otto chilometri orari.
“Non stai bene? Se sei stanco chiamo il pullmino e ti faccio caricare.”
Gli dico un po’ in apprensione.
“No, no. E’ un po’ che non esco e soffro le salite lunghe.”
 Mi dice di rimando.
“Si ma questa non è ancora iniziata e poi sono circa quattro chilometri, non la chiamerei salita lunga.”
Penso tra me e me mentre altri colleghi ci sfilano. Decido di ragguagliarlo su quanto percorso per far si che si sollevi il morale ma a poco più di un chilometro dalla fine…
“Danilo? Danilo? Bocia dove sei?”
Purtroppo al ragazzo è capitato quello che si definisce un crollo verticale; verrà, così, fatto salire sul pullmino. Mi spiace perché, penso, queste situazioni minano un po’ il morale di un individuo che pensa di avere il mondo in pugno e poi, in men che non si dica, si spegne per mancanza di forze.
Un piccolo consiglio, valido per lui ma anche per colleghi di età superiore: bocia, impara a gestire la forza e pesa bene il canto che certe sirene ti fanno sentire; è la differenza fra  divertirsi e sfinirsi. Torniamo alla manifestazione.
Raggiunto il borgo posso ristorarmi con del thè caldo e della crostata (complimenti, era buonissima); dopodiché (e  dopo una doverosa sosta idraulica, visto il clima) si riparte alla spicciolata per radunarsi al termine della discesa.
Si riparte. E si ricomincia a barbellare (per chi non conoscesse questo termine: dicasi barbellamento il movimento involontario e frenetico della mandibola a causa del freddo). Osservo Ivan e Fernando che, essendo in pantaloncini, hanno le gambe color viola; in effetti, a differenza della partenza, qui siamo in una valle prealpina quindi, complice la strada ora in leggera discesa, la temperatura che si percepisce è parecchio bassa perciò prima di smettere di tremare ne passa di tempo.       
Riecco Varese. Qui gran parte dei nostri compagni (sia di squadra che d’avventura) decide di andare diretta verso casa; io, grazie al buon cuore di Roberto che è venuto in auto, decido di portare a termine l’impegno e proseguo. Con Roberto stesso cerco di fare un rapido conteggio di quanti siamo rimasti; ci facciamo sfilare anche dall’ambulanza ed andiamo tra le auto al seguito dove alcuni dei nostri giacciono al tepore del riscaldamento delle vetture. Con un rapido inseguimento come ai bei tempi rientriamo.
Pian piano ci avviciniamo al termine; gli ultimi dentelli, però, si rivelano ostici e la già sparuta compagnia si sfalda. Mi impegno a far rientrare alcuni ritardatari, fra questi i nostri Matteo e Beppe più Fabio, il nipote di Roberto (a proposito, è il primo anno che prende in mano una bicicletta da corsa e quello che ha fatto è da complimenti sinceri), e ricomponiamo il tutto alle porte di Cassano giusto in tempo per la passerella finale.
Chiudiamo comunque sorridenti ed un po’ dispiaciuti per gli organizzatori che meritano maggior fortuna per manifestazioni di questo genere però, si sa, la collocazione nel calendario può portare al rischio pioggia; l’importante è averla portata a termine senza intoppi.
Spendo le ultime parole per la mia squadra.
Siamo un bel gruppo e con questa partecipazione che oserei dire di massa abbiamo dimostrato sensibilità e solidarietà. Sono veramente lieto di farne parte.

 

Stefano

 

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