CAMOGLI (Arduo come prenderlo in autogrill durante l’esodo di agosto)


E finalmente, anche quest’anno, è giunto il momento della prima gran fondo.
La località deputata al battesimo è la bella cittadina ligure che ci accoglie festosa dopo un anno obbligatoriamente sabbatico a causa del maltempo che lo scorso anno ha rovinato (eufemistico) le strade della zona.
Quest’anno, invece, un sole tardo primaveril-estivo ci fà da regista della manifestazione invitandoci (non tutti però) ad indossare una tenuta estiva. Figuratevi, care amiche e cari amici, che invito a nozze per un tipo caloroso come me!
Prima della gara, però, permettetemi un piccolo excursus sul risveglio. Si perché, vedete, ho avuto diverse volte domande del tipo A che ora ti alzi? Che colazione fai? Ecco, oggi svelo (se mistero c’è) cosa faccio al mattino pre-gara.
Stamane mi sono alzato alle 5.10 a causa del bisogno che al mio inquilino del piano di sotto non ho potuto negare. Era presto? Accidenti se lo era! La sveglia era puntata per le 5.45!
Una volta in piedi, ben sapendo che se fossi tornato a letto non avrei chiuso occhio, ho smanettato con qualche giochino sul computer così, per tirar l’ora di colazione che è stata con il classico pane del giorno prima inzuppato nel caffè latte (da vecchi non trovate?) e una banana.
Tutto lì?

Tutto lì. Un successivo caffè in autogrill e fette biscottate con burro e marmellata durante le operazioni pre-partenza hanno completato l’alimentazione.
Forse è poco, lo riconosco, ma di prepararmi il riso come quando correvo da ragazzo mi sembra eccessivo (e poi a che ora dovrei alzarmi?). Per non sentire troppo la tensione che anche ad uno senza pretese come me si fa sentire, consiglio di svolgere normali operazioni casalinghe come, per me quest’oggi, portare giù l’immondizia.
Questo è, più o meno, quanto è successo prima di salire in auto per recarmi al luogo del ritrovo con i compagni di squadra.
Passiamo alla gara.
Alle 10.30 il via un tantino anomalo perché sin dai primi metri sono costretto con il naso all’insù. Chi conosce Camogli sa che il centro del paese è sotto la statale perciò se si vuol andare sull’Aurelia…
Comunque salgo tranquillo anche perché una volta girato a destra, direzione Rapallo, inizia la prima asperità di giornata: il passo Ruta; niente di particolarmente complicato.
Salendo penso che questa erta sia utile a scremare il quasi migliaio di persone che si dovranno (o vorranno) dare battaglia.
Non è proprio così.
Lungo la discesa, dove il mio bolide ed io superiamo i 75 chilometri orari, a causa di alcuni restringimenti e la tortuosità della strada ci ricompattiamo. Peccato perché ciò mi obbliga a restar concentrato sulla corsa e non mi permette di osservare il panorama come avrei voluto.
A Rapallo il caos.
Un imbottigliamento dovuto, a mio parere, ad una mancanza di coordinamento tra organizzazione e vigili locali ci costringe allo stop. Per non mettere piede a terra valuto la possibilità di salire sul marciapiede (prima di me parecchi altri hanno avuto la mia stessa idea) piuttosto ampio; procedo con cautela, “tanto gli altri son pressoché fermi”, mi dico. Incrociando una signora ed un signore anziano, e sentendomi in difetto, mi appoggio al muro di una casa per dar loro la precedenza. “Prego, signori, prima voi.”
Non lo avessi mai fatto!
Il signore mi inveisce contro e mi prende il manubrio. L’idea di reagire mi balza immediatamente al cervello perché per me moglie e bicicletta sono sacre quindi guai a toccarmele e poi, con tutti quelli che son passati proprio con me doveva prendersela?
Comunque tutto succede in pochi secondi e posso tornare a pensare al mio lavoro.
Uscendo dal paese la strada sale ancora e qui provo a distrarmi osservando l’ambiente circostante anche perché sotto di noi si estende il Golfo del Tigullio; esagero pensando che da qualche angolo si possa persino vedere Portofino.
Ecco Chiavari e con essa l’arrivederci al mare. Si perché se fino ad ora non si era scherzato, da questo momento le cose si fanno terribilmente serie. Si va verso l’entroterra, Carasco, Terrarossa, cichero ed il Passo di Romaggi o Passo del Lupo (la seconda definizione mi pare ben più poetica quindi degna di essere usata).
“Ma io pedalo bene. Guarda come vado via più agile degli altri.”
Questo è ciò che mi passa per la testa mentre, in un gruppo che man mano cresce fino ad una trentina di unità, lascio Chiavari.
Ed ecco l’inizio della salita che porta al Passo. La inizio nervoso perché il cardiofrequenzimetro si è spento.
“Hai fatto per tanti anni senza, puoi farlo ancora.”
Mi dico, e così mi faccio coraggio e mi arrangio.
Salgo discretamente bene, per quelli che sono i miei limiti, favorito dalla pendenza che solo in poche occasioni supera il 6/7%.
“Terrò per tutti e 12 i chilometri?”
Domanda saggia perché quest’anno scalate così non ne ho ancora fatte. Nonostante i miei dubbi, e con gli ultimi 2 chilometri i più duri, scollino bene anzi, trovo persino il tempo di scherzare con Umberto che una volta raggiuntomi (non lo facevo così indietro, lui è notoriamente superiore a me) mi chiede degli altri.
“Dispersi in Russia, signore!”
E’ la mia pronta risposta che scatena le risa degli altri colleghi che mi fan compagnia.
Ed ora la discesa!
Calma, amiche ed amici, calma. Certo molti di voi sanno come io e la mia Chiara scalpitiamo in questi frangenti, ma oggi no; oggi un brutto fondo stradale, la sede stretta e continue curve, doppie curve e tornanti, richiedono un impegno atto più alla salvaguardia della pellaccia che scellerati eroismi. Intendiamoci, di colleghi ne ho passati diversi in ogni caso, ma solo perché timorosi e con scarsa perizia nel manovrare il mezzo.
Si rientra sulla provinciale della Valle Fontanabuona e qui le gambe cominciano a dare i primi segni di stanchezza.
“Cavolo! Ho da poco superato metà gara, aspettate ancora un po’ a presentarmi il conto.”
Certo il vento non mi aiuta in questo momento critico e sono combattuto tra lo stringere i denti e restare agganciato al gruppetto di cui faccio parte o saltare ed aspettare qualcuno che va più piano.
I miei dubbi vengono involontariamente risolti da Claudio; infatti vedendo , e capendo, che il mio compagno di squadra è più in difficoltà di me, mi lascio sfilare pensando di essergli utile. Ahimè non è così perché quando mi fermo al ristoro, posto poco prima della dura scalata a Moconesi alto, rifiuta il mio consiglio di fare altrettanto e tira dritto: pagherà ulteriore dazio più avanti.
Io, per mio conto, affronto i quasi 3 chilometri con timore dopo aver letto i dati posti ad inizio salita, ma scollino ancora con discrete energie che a Gattorna, al rientro sulla provinciale, mi inducono ad una gestione oculata dello sforzo.
Prima della svolta verso Lumarzo, e la conseguente salita a Colle Caprile, raggiungo nuovamente Claudio, stavolta si, veramente in crisi. Sono combattuto tra restare con lui o proseguire del mio passo sapendo che ci sono altri compagni di squadra dietro che lo potranno aiutare. Dopo diversi minuti opto per l’egoismo e me ne vado.
Quest’ultima salita è divisa in due settori e tra i due un lavatoio sembra messo lì apposta per invitare ad una sosta prima della fatica finale.
Non chiedetemi se mi sono fermato perché la risposta la conoscete.
Dopo il rabbocco della borraccia, affronto gli ultimi 3 chilometri e mezzo di salita con un po’ più di fiducia, allietato dal cartello indicatore degli ultimi 20 chilometri e sapendoli quasi tutti in discesa. Poco prima dello scollinamento vengo raggiunto da Mario.
“Dai, Stefano, andiamo.”
Che entusiasmo ha sempre Mario! Rare son le volte che gli ho visto il volto imbronciato.
“Vai tu. Io non ho più voglia.”
Coosa?
Eh si, care amiche ed amici, non avevo proprio più voglia di far fatica e la conferma mi viene data dalla discesa dove, nonostante faccia traiettorie precise, mi lascio portare dalla velocità senza quasi spingere sui pedali. Cosa è successo?
Non lo so; sapevo che ormai sarei arrivato e rischiare l’osso del collo per guadagnare quanto? Dieci o venti posizioni? Non mi andava.
“Vabbè, Stefano, andiamo almeno a prendere quei tre lì davanti.”
Ma chi parla? Sono io o è Chiara che mi incita? Guardo per un attimo la Fede al dito quasi a chiedere da lontano l’approvazione di Eleonora ed ecco il risveglio.
Al cartello dei meno 10 sparo le mie ultime cartucce; raggiungo i tre colleghi e insieme, sotto la mia spinta, ci accodiamo ad un’altra decina alle porte di Recco quando, cioè, mancano meno di 5 chilometri al traguardo.
Ogni gesto che facciamo porta delle conseguenze e le mie si chiamano crampi; già a 6-7 chilometri dalla fine, approfittando di uno di quei rari tratti di rettilineo e sul filo dei 50 chilometri orari, avevo staccato un piede per fare dello stretching, ma a 2 chilometri, quando si lascia Recco e la strada si impenna per un’ultima fatica… Zac, zac.
Le cosce si bloccano.
“Pazienza, pedaliamo come possiamo tanto è finita.”
Dico un po’ sconsolato.
Guardandomi attorno, però, noto che i miei compagni d’avventura non mi staccano, chiaro segnale che anche loro a forze non stanno bene.
Così, con i miei ultimi pensieri, faccio passare i crampi e mi getto nell’ultimo, ancora tortuoso, chilometro; l’entrata nell’angusto rettilineo conclusivo e l’applauso della gente mi danno linfa nuova per chiudere in maniera decorosa questa prova.
Ecco, care amiche e cari amici, permettetemi di concludere con la gente.
Sapete quanto io ci tenga a sapere che ovunque andiamo veniamo incitati dalle persone che stanno ore ai balconi, alle finestre e a bordo strada, per darci il loro sostegno.
Ancora una volta grazie.
Arrivederci alla prossima che, guarda caso, sarà ancora in Liguria.

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